Come tutto iniziò…
Il primo ricordo che ho di ciò che poi è diventato il mio sport è di quasi venticinque anni fa. Ero molto piccolo, sei anni o forse sette. Ero iscritto ad una scuola di nuoto, anche se non lo amavo particolarmente, però come si pensava allora, il nuoto faceva bene ai bambini, così anche io ero lì tra tanti altri coetanei ad imparare a tenersi a galla. Ed a galla ci stavo malvolentieri.
Non ero tra i primi del corso e nemmeno mi importava più di tanto esserlo. Fu solo quando l’istruttrice buttò sul fondo della vasca degli anelli plastificati e ci chiese di raccoglierli, che mi si aprì un mondo fantastico. Mi scoprii incredibilmente a mio agio nell’andare sott’acqua, molto più di quando nuotavo in superficie.
Nel periodo estivo, imparai che potevo sfruttare quelle capacità per poter osservare il fondale marino, e ancor meglio, per poter pescare le cozze che crescevano numerose lungo le scogliere che frequentavo. Che potevo gareggiare con gli amici, quando durante le ore di riposo del bagnino, prendevamo di nascosto il moscone ed andavamo oltre le scogliere sfidandoci l’un l’altro a chi scendeva più in profondità. Qualche anno più tardi addirittura scoprii che, armato di pinne e fucile, potevo perfino pescare qualche bel pesce.
L’apnea è sempre stata parte della mia vita, in modo estremamente intimo e naturale. L’ho sempre vissuta da solitario, come fosse qualcosa che mi fosse sempre appartenuta, e da solitario cominciai ad allenarmi tre anni fa per poter gareggiare nelle competizioni nazionali di apnea indoor. Come mi venne in mente quell’idea non so spiegarlo. Io che ho passato l’adolescenza vantandomi della mia vita sedentaria, dei vizi e a volte anche degli eccessi. Io che anche da bambino non ero mai stato abituato a nessuna attività agonistica, io che tutto sommato nemmeno sapevo cosa potesse voler dire “allenarsi”. Forse fui semplicemente spinto da quel richiamo primitivo dell’acqua, di quella dimensione ovattata e rilassante che sa donare l’assenza del respiro.
Comprai una monopinna, la più economica che trovai e cominciai a nuotare su e giù per la piscina. Sentii che quello strano ed affascinante attrezzo era l’anello di congiunzione tra me e l’acqua. Con la monopinna ai piedi mi sentivo un delfino, mi sentivo parte integrante di quell’acqua che tanto amavo, ma che per anni avevo lasciato fuori dalla mia vita. Ero ancora inconsapevole ed immaturo ed amavo la solitudine dei miei allenamenti che comunque mi stavano dando risultati positivi e crescite, in termini di distanze, inaspettate. Quando mi sentii finalmente pronto, cercai una squadra di cui far parte, non perché sentissi la reale necessità di condividere con qualcuno questa esperienza, ma solo per avere accesso al mondo agonistico. -L’apnea è uno sport individuale, in fondo a cosa serve una squadra?- mi dicevo.
Fu così che conobbi l’Apnea Team Abruzzo e che cadde il castello di carta che mi ero creato.
Mauro Splendore